Dopo il 1861

Dal 1861 al 1875 nel Sud Italia c'è stata una ribellione contro i Savoia che ha saccheggiato le casse del Regno delle 2 Sicilie. Le popolazioni sono insorte insieme ai Briganti per difendere le loro terre a seguito delle false promesse di Garibaldi e di chi c'era dietro di lui. Per riuscire a vincere i colonizzatori dovettero introdurre la Legge Pica che permetteva ai Piemontesi di uccidere chiunque, tra cui contadini che avevano un fucile non registrato (una scusa per ammazzare), o chi venisse trovato con troppo cibo addosso per paura che lo portasse ai briganti nascosti nelle foreste. Si parla di 1 Milione di Meridionali uccisi e deportati, un MASSACRO di gente. Ad oggi i libri di Storia ancora tacciono e ciò non è giusto. L' Italia è una e si deve ricordare il sangue dei Meridionali versato, e della nascita della questione meridionale proprio dal 1861, dovuta a una politica che ha portato il benessere del Sud al Nord, sacrificando i Meridionali all' emigrazione da 150 anni. Tutto ciò è ingiusto.

"La sola legge Pica (quella che consentiva di imprigionare chiunque "sembrasse" dissentire dal nuovo corso) si calcola abbia fatto circa sessantamila vittime. Ancora dodici anni dopo l'unificazione, l'Italia, con una popolazione inferiore a quella degli altri paesi, ha la maggior quantità di detenuti in Europa."..."Decine di migliaia di soldati borbonici sono internati in campi di concentramento al Nord, il più infame a Fenestrelle, una fortezza a una settantina di chilometri da Torino, su un costone roccioso a oltre 1.200 metri d'altezza, battuto da venti gelidi: la vita media degl'internati non superava i tre mesi; per garantire ulteriore tormento ai prigionieri furono divelte le finestre dei dormitori. Altri campi (non bastavano mai) vennero aperti ancora in Piemonte, Liguria, Lombardia"... "I carri bestiame usati dai nazisti per gli ebrei sembrano un lusso, a paragone delle navi e dei mezzi che si usarono per trasferire quei prigionieri da Sud a Nord (accadrà, nel 1870, anche con 4.800 soldati pontifici «sospinti per il loro ludibrio attraverso la penisola, con insulti, sputi, bastonature e sevizie: avranno una sola razione di pane in tre giorni di marcia»). Molti preferirono uccidersi. A Mantova, alcuni fuggiaschi vennero massacrati dai lancieri della guarnigione locale, con patriottica partecipazione di civili. E in quei lager, in quella feroce invernata, i napoletani furono lasciati con le camicette estive, infestati di pidocchi, malati, digiuni o malnutriti. Ma il conto dei morti non c'è: non li registravano, li facevano sparire e basta (a Fenestrelle, nella calce viva: la vasca è ancora lì, dietro la chiesa). Non si sa nemmeno, con certezza, quante decine di migliaia di militari prigionieri passarono e sparirono in quei campi (alcuni, migliaia, riuscirono a fuggire in Francia, Svizzera e nelle regioni dell'impero austro-ungarico, per il quale, poi, molti combatterono contro l'Italia). Come ai nostri soldati finiti nei lager tedeschi dopo l'8 settembre 1943, ai napoletani si chiedeva di rinnegare il giuramento alla loro patria e servire Vittorio Emanuele. Pochissimi lo fecero; gli altri preferirono patire («tutti coperti di rogna e verminia» scrisse La Marmora, che tentò invano di convincerli, irritato dalla loro «avversione») e tanti ne morirono. Eppure avevano visto molti dei loro comandanti tradire, passare con l'invasore; rinunciare alla difesa della patria, per il desiderio di vedere l'Italia unita, o perché incapaci e più spesso corrotti."..."L'Italia fu unita col sangue nostro, i soldi nostri rubati e portati al Nord. E mo' ce la teniamo: l'abbiamo pagata. Siamo repubblicani e unitaristi, non contro i Savoia e con i Borbone. Ma il nostro paese ci tratta da nemico sconfitto. Nel 1999, dettero al Piemonte seicentocinque miliardi di lire, per riattare ex beni dei Savoia. A noi niente. Solo tramite la Regione riavremo i beni demaniali chiesti. E nulla ci è stato dato dei centocinquanta milioni di euro per le celebrazioni dei cen-tocinquant'anni dell'Unità d'Italia, nel 2011. Abbiamo presentato dei progetti, manco ci hanno risposto. Anzi, col precedente governo Berlusconi, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, voleva mettere in vendita i nostri beni "demaniali". Ma, tranne le case private epiazza Commestibile, tutto è demaniale, nella Gaeta storica! Il governo Prodi lo evitò, con la finanziaria 2007. Per noi, la patria ha solo bombe. Nel '43, tedeschi e fascisti, temendo uno sbarco alleato, buttarono giù il 70 per cento della città, per prepararsi a una difesa che non fu nemmeno necessaria.» Con gli anniversari non hanno fortuna. «Per le celebrazioni dei cento anni, nel 1961, doveva venire il presidente della Repubblica. Ci fecero intendere che nonavremmo avuto soldi, se non avessimo intitolato strade agli eroi del Risorgimento. Che, per noi, sono criminali di guerra: ci bombardarono mentre si trattava la resa. A Marzabotto hanno forse "via Reder"? A Roma c'è "via Kappler", dalle parti delle Fosse Ardeatine? Alla fine, costretti, si dedicarono anche qui delle vie a Garibaldi, Cavour, Mazzini, Bixio, Mameli: sono quelle che portano al cimitero borbonico (allora periferia).» Lui, da assessore alla Toponomastica, si è dato il compito di "bonificare" quelle vie e intitolarle agli eroi della resistenza gaetana all'assedio. «Già via Battaglione Alpini di Piemonte è ridiventata viale di Montesecca (e non l'abbiamo mai chiamata diversamente); corso Cavour si chiamerà viale dei Due Mari; via Garibaldi verrà intitolataa don Capobianco. Con i soldi del centenario del 1961, si fece la media Carducci. Negli scavi, venne fuori una fossa di ventiquattro metri per dodici di profondità (che la scuola oggi ricopre), piena di cadaveri: soldati borbonici e civili fucilati dai piemontesi (noi ragazzini andavamo a rubare i bottoni dalle divise e li scambiavamo con le figurine dei calciatori: non sapevamo che erano d'argento). Quando arrivarono a duemila salme riesumate, la cosa cominciò a suscitare tale emozione e risentimento, che le autorità si sbrigarono a richiudere tutto e costruirci sopra.»La vicenda ha tale densità metaforica, che pare finta; a inventarla, non ci si sarebbe riusciti: la scuola nasconde nelle fondamenta, la verità emersa dopo cent'anni. E si insegna la storia dei vincitori agli eredi dei vinti che quella verità "calpestano" per entrare in aula (non gratis: terreno demaniale, il Comune deve pagare dazio, nella sua stessa città). «Per noi, destra e sinistra sono solo indicazioni stradali. La destra difende l'economia lombardo-veneta; la sinistra quella tosco-emiliano-marchigiana. Il Sud è abbandonato a 'ndrangheta, mafia e camorra, funzionali allo schema economico per cui solo il Centro-Nord può produrre, e il Sud è solo un mercato. Lo si volle col Risorgimento, continuarono il fascismo, e poi la Dc e il Pci di Togliatti, che sacrificò il Sud al triangolo industriale Torino-Milano-Genova» prosegue Ciano."..."Ogni anno, a Vicenza, il Comune deponeva una corona dinanzi alla lapide che ricorda un grande eroe del Risorgimento italiano, medaglia d'oro al valor militare, due volte medaglia d'argento: il colonnello Pier Eleonoro Negri. Nel 2004, un tenace cacciatore di documenti storici, Antonio Pagano, scoprì che fu lui a guidare l'eccidio di Pontelandolfo (in un primo tempo, si pensava fosse stato Gaetano Negri, pure lui del Sesto Reggimento, altro "sterminatore di briganti", poi sindaco di Milano). E ora? Ogni anno, il Comune di Vicenza continua a deporre una corona dinanzi alla lapide di Pier Eleonoro Negri. In nome del popolo italiano, inclusi Pontelandolfo, Casalduni, Campolattaro. I soldati blu per building a country, "costruire un paese", rubarono vita e terra agl'indiani. Questo ancora ci indigna. I soldati del Nord Italia, per costruire un paese, sterminarono e depredarono il Sud. Questo non vi indigna? Carcere a vita per Reder e Kappler e medaglia d'oro per Negri che, come loro e più di loro, fece massacrare italiani inermi per rappresaglia. Cosa direste, se il Comune di Vicenza deponesse ogni anno una corona d'alloro sulle tombe di Reder e Kappler? Ma quanti meridionali avete visto, a Vicenza, a ostacolare la cerimonia? Quanti lanci di vernice rosso-sangue segnano sulla lapide il disonore del nobile vicentino? Questa è l'accettazione della minorità: al più ti lamenti e non reagisci. Uno sterminatore è onorato come eroe, e non lo si impedisce. «Una ventina di anni fa,» dice Nicola Bove «l'allo-ra sindaco chiese che a Pontelandolfo fosse assegnata la medaglia d'oro, visto il sangue versato per l'Unità. Era presidente della Repubblica Sandro Pertini. Fu negata.» Alle vittime no, al massacratore sì. Strano paese, in cui non importa come vinci, ma se perdi. Quando accetti la minorità, accetti tutto. Lo dico con un'immagine tratta dal racconto del filosofo meneghino Ferrari sulla mattanza di Pontelandolfo. I superstiti lo accolsero con dignità, lo ospitarono in una delle tre case rimaste. Fra le macerie fumanti e i sopravvissuti che vi rovistavano per cercare tracce dei loro cari e beni da recuperare, lo condussero da Antonio Rinaldi, già possidente (gli avevano distrutto e rubato tutto), liberale e unitarista, come i suoi figli Francesco e Tommaso, che erano andati incontro ai bersaglieri, facendosi riconoscere, ma furono ugualmente costretti a pagare un riscatto, poi fucilati, finiti alla baionetta (i meridionali pro-Savoia erano utili, ma quando non più utili, meridionali come tutti gli altri; trattati alla stessa maniera). All'onesto deputato del Nord che gli andava incontro, il padre dei due filopiemontesi ricattati e uccisi disse soltanto: «Non domando niente, non mi lamento di nulla». Qualunque cosa ci facciano sarà meno di quel che ci hanno già fatto; la memoria tradita di un eccidio è meno dell'eccidio; scatta persino l'immonda gratitudine della vittima per il carnefice, ché potrebbe farti più male e si contiene. E l'irrinunciabile, subdolo bisogno di giustizia può indurti all'inversione della colpa: Negri è onorato, perché meritavi la pena. È stato scritto: «I perseguitati piansero al funerale dei persecutori »."..."È il glorioso '15-'18 che farà mormorare il Piave e ognuno, nel paese, è chiamato a svolgere il suo ruolo: i meridionali a morire in trincea, il resto d'Italia a incassare profitti bellici. Quando si faranno i conti, si scoprirà che il Sud ha reso il più alto tributo di sangue e incassato il 7,4 per cento delle spese per i rifornimenti alle forze armate; al Nord e al Centro, va il 92,6 per cento, con lo stato che paga a incontrollati prezzi "bellici", anticipa i soldi, concede contributi per nuovi impianti, per ammodernare le aziende, crearne ex novo, esenta dalle tasse... Già prima della guerra, i due terzi di tutti gli stanziamenti militari erano spesi nella valle del Po e praticamente tutte le forniture per la Marina militare assegnate alla sola Liguria (i più grandi, numerosi e moderni cantieri navali erano in Campania, ma l'Italia unita non li vide; e quelli chiusero uno dopo l'altro). Finita la pacchia, la crisi economica (e sociale) travolge il sistema industriale e bancario. La soluzione? I guai delle aziende vengono scaricati sulle banche; quelli delle banche sullo stato, che nel 1933 crea l'Iri, Istituto per la ricostruzione industriale. Con i soldi di tutto il paese, l'Iri acquista le azioni delle imprese; e non al loro ormai insignificante valore, ma a un prezzo che consenta alle banche detentrici di rimettersi in sesto; poi (sempre con i soldi pubblici) si ristrutturano le aziende, persino, che delicatezza!, «con la restituzione ai privati di alcuni complessi risanati» (De Rosa). Lo stato che aveva abolito ogni forma di aiuti alle imprese, previsti dalla normativa del Regno delle Due Sicilie (il famoso ed efficiente Istituto di incoraggiamento) e condannato al regresso e all'estinzione un intero sistema produttivo, quando si tratta delle industrie del Nord, opera con tale dovizia, da ritrovarsi a controllare direttamente «circa il 90 per cento della flotta mercantile italiana, il 75 per cento della produzione nazionale di ghisa, il 45 per cento di quella dell'acciaio grezzo, i maggiori cantieri italiani ecc.» (La rivoluzione industriale in Italia). Scusate, si può dire: «Così so' bravi tutti? ». Eppure, indovinate chi è che protesta? Milano, «contro una pressione fiscale ritenuta eccessiva» ricorda Meriggi, in Breve storia dell'Italia settentrionale. «La città giunse ad autodefinirsi "Stato di Milano" in polemica contro la politica di spese militari (e di tasse)» Seguite il ragionamento: loro già ne traevano i vantaggi e rendevano così, un servizio al paese, non potevano anche pagarci su le tasse! «La nuova Milano industriale, infatti,» prosegue Meriggi «guardava allo stato non solo con fiducia, ma anche con impaziente sollecitudine e con nervosa aspettativa ogni volta che si trattava di rivolgersi a esso per ottenere vantaggi, privilegi, protezioni; come sapevano bene i cotonieri e i siderurgici.» Per riassumere: Milano voleva (allora, eh?, allora...) soltanto «protezione e profitti per i privati, oneri diffusi per lo stato e per la collettività». «La gestazione dell'industria padana durò novant'anni e costò il completo azzeramento del Sud» ha scritto Nicola Zitara in La storia proibita."..."Già nel 1906, Pallora ministro (per competenza?) Pantano varò il progetto per attribuire alle cooperative settentrionali gli appalti delle bonifiche nel Sud (con contributi pubblici, si capisce). Decenni dopo, Vochting scriverà che il Nord, «dopo aver già conquistato il Sud come colonia di smercio industriale, era ora in procinto di farne anche una colonia d'insediamento demografico, a spese dei proprietari locali, ossia della ricchezza meridionale nel senso più stretto, nonché valendosi di contributi della comunità intera » incluso lo stesso Sud, chiamato a cofinanziare la sua spoliazione e colonizzazione. Dal 1922 al 1932, per recuperare paludi si spesero 47 milioni in Basilicata (75 lire per ettaro malarico) e 936 milioni in Emilia (781 lire per ettaro), 576 milioni in Veneto."..."«Nel volgere di pochi decenni, quindi, a fronte di lusinghe e minacce insorte dall'interno e dall'esterno, le campagne meridionali vennero messe a soqquadro, i boschi spianati, le vecchie colture divelte e poi ancora ripristinate, le nuove adottate di slancio e in breve sradicate con altrettanta furia»"..."E mentre lo stato continuava a salvare industrie malcondotte al Nord, il Sud, nello slalom fra leggi punitive e mercati evanescenti, bruciava fatica e risparmi. E vite di braccianti: il rosario dei senzaterra meridionali uccisi mentre chiedono lavoro durerà sino agli anni del "miracolo economico". È al Sud che si sperimentano le armi di oppressione di massa del fascismo, dalla conquista a mano armata dei comuni "rossi", al primo assassinio di un parlamentare, che non fu il socialista Giacomo Matteotti, ma il socialista Peppino Di Vagno, di Conversano, nel Sud barese."..."Tutto quello che succede nei nostri anni con gli extracomunitari accadde allora agl'italici "extranordici". Lo racconta Anna Treves, in Le migrazioni interne nell'Italia fascista: «Sono troppi» (fiorirono, attorno alle maggiori città, baraccopoli che, nel 1928, sul «Popolo d'Italia», Mussolini inutilmente voleva «sfollare spietatamente»: la gran parte erano pugliesi); «Ci rubano il lavoro»: un disoccupato del Nord scrisse al Duce che gl'impiegati «della bass'Italia» favorivano «chisto e chillo del suo paese e noi miseria e fame»; mentre un altro accusava il regime: «Mangiato voi, mangiato tutti pensate bene di dare sussidio alle famiglie numerose, da poter vivere i loro figli porca madonna basta. Ossequio saluti fascisti». Fu un esodo poco raccontato, ma persino più grande di quello che semisvuotò il Sud negli anni Cinquanta-Sessan-ta del Novecento. Mai più Milano, per dire, crebbe di tanto in così poco tempo. Mentre, nell'indifferenza del paese (e persino ostilità), al Sud, intere zone rimasero deserte per la prima volta, dopo tanti secoli. Solo nel 1960 si toccò di nuovo il milione e mezzo di "trasferiti" del 1937. La cosa era imbarazzante per il regime, che registrava le migrazioni interne come "cambi di indirizzo"; furono pubblicati studi sulla "meridionalizzazione" in corso nel paese. Non riuscendo a impedirla, la nascosero: nel censimento del 1936, si prese nota solo degli arrivi, non della loro provenienza. Scomparsi i meridionali! Questo è genio. Cialtrone, ma genio. Ossequio saluti fascisti!"..."Giuseppe Di Vittorio, uomo di forza omerica e sindacalista durissimo, uscì piangendo dall'incontro sulla ricostruzione del paese, con il presidente della Confindustria, Costa, che si oppose a ogni idea di produzione industriale al Sud («È assurdo (...), è più conveniente trasferire la manodopera verso Nord»). E il peso economico del Nord era ormai tale da esprimere il potere politico, governare i soldi e le commesse dello stato. Se lacrime furono, anticiparono quelle di milioni di meridionali costretti a sradicarsi, perché non si vollero portare le fabbriche dove erano gli uomini. Di Vittorio, ex bracciante di Cerignola, sapeva quale tragedia stava per ricominciare. Così, Torino, prima si prese il Meridione, poi i meridionali. Furono altri cinque milioni a partire. Più o meno come durante il fascismo; più o meno come prima dell'altra guerra mondiale, quando si contarono solo quelli che fu possibile contare (ché forse altrettanti furono i clandestini). Numeri, numeri... Cercate di vedere facce, storie, amori perduti. Cercate di vedere la loro paura, l'umiliazione, la rabbia e la speranza. Avete letto della tragedia dei bulgari e macedoni che per la guerra dovettero lasciare le loro terre? Be', erano duecentomila. O della tragedia dei tedeschi che dovettero abbandonare terre divenute polacche? Erano settecentomila. O della tragedia dei greci costretti a partire dall'Asia minore? Erano un milione. Per loro, la guerra decise una nuova geografia che li rese incompatibili con la loro terra. Per i meridionali decise la pace, il nemico aveva la stessa bandiera, gli stessi confini, parlava la loro lingua. Per comprendere il contenuto dei numeri: è come se in un secolo, si fossero svuotate interamente, 3 o 4 volte (secondo i diversi conteggi) la Sicilia o tutta la Puglia, più tutta la Basilicata, più tutto il Molise. Tre o quattro volte in cent'anni!"..."Mentre tanti emigravano, altri occupavano terre incolte, per lavorarle a dispetto dei possessori (tali, a volte, per usurpazione). E fu la stagione degli eccidi. Sui braccianti in protesta spararono gli agrari, spararono i carabinieri, spararono i celerini (si fece uso persino di carri armati), spararono i banditi al servizio di quei poteri: e i meridionali caddero a decine a Melissa, a Montescaglioso, ad Andria, a Corato, a Gravina, a Torremaggiore, a Celano, a Eboli, a Portella della Ginestra...; in solo due anni ne furono arrestati oltre diecimila"..."negli anni Sessanta, si visse l'illusione che il miracolo economico fosse possibile senza emigrare: era stato appena scoperto il più grande giacimento di gas d'Italia, forse d'Europa: quaranta miliardi di metri cubi di metano. Per quell'area, bella e depressa, può essere lavoro, aziende di trasformazione, istituti professionali, cultura industriale e industrializzazione dell'agricoltura, con energia a basso costo. Dio ha steso la sua mano sui poveri del Subappennino. Che accolgono con i fiori, manco alle Hawaii, il rappresentante della Snia-Viscosa, ingegner Casini. Ma si capisce che qualcosa non va, forse lo stato non la pensa come Dio. La gente di Candela, Ascoli Satriano, Deliceto, Accadia, Ca-stelluccio dei Sauri, Rocchetta Sant'Antonio comincia una battaglia che durerà anni, coinvolgerà tutti, con forme di auto-organizzazione che susciteranno la curiosità di osservatori stranieri, il disorientamento dei partiti, la reazione dello stato. In trentamila, con i vecchi, i bimbi, donne e uomini marciano sul capoluogo. Temono che il loro metano faccia la fine della bauxite del Gargano, che semina scorie e disoccupati sul posto, lavoro e ricchezza a porto Marghe-ra. Mario Giorgio (La sconfitta del Subappennino Dauno) ha raccontato la vicenda giorno per giorno, quasi. Vi dico come finisce: l'Eni fa quel che vuole, usa stato e partiti ascari a Roma, politicanti indigeni sul posto; un suo funzionario locale avvia da lì la sua carriera governativa; i dauni son piegati con promesse disattese, cooptazione di qualche leader, richieste di centinaia di milioni, per "mancato guadagno", minacce, brutali interventi di polizia: centinaia di denunciati, molti arresti, espatri negati agli emigranti, "certificazione di procedimenti in corso" contro diplomati, che rischiano di essere esclusi dai concorsi pubblici... Il gas, Eni dixit, serviva all'industria del Nord. E lì andò."..."Incarna la protesta del Nord produttivo contro il Sud fannullone, Umberto Bossi: uno che non ha lavorato un giorno in vita sua, si è fatto mantenere dai genitori; poi dalla prima moglie (la quale scoprì dopo un anno e mezzo di matrimonio che il marito non andava ogni giorno a lavorare in ospedale, come diceva, e non era medico, e non era manco laureato, nonostante tre feste di laurea, negli anni); poi si è fatto mantenere dalla seconda moglie (terrona; e se a qualcuno piacciono le metafore...); poi dal popolo italiano." (da "Terroni" di Pino Aprile - PIEMME edizioni)

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